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PAOLO RUFFILLI, Le cose del mondo, Milano, Mondadori, 2020. Recensione di Alessio Vailati


"Le cose del mondo", l'ultima raccolta di Paolo Ruffilli, ha il respiro della lunga meditazione, il passo della riflessione sublimata in un percorso lungo anni in cui la mente e i cinque sensi, immersi - quasi stritolati- nella morsa asfittica e abrasiva delle vicende e delle cose, tentano per reazione di aprirsi un varco, cercano una via d'uscita in quel groviglio inestricabile, labirintico in cui l'individuo da sempre faticosamente si muove con il suo fardello di dubbi e di domande. È come se l'essere, intrappolato nel mondo della realtà storica e oggettuale, resistendo alle forti sollecitazioni della vita, si mettesse continuamente in gioco e si facesse viaggiatore razionale e senziente nel più caotico divenire, accettandone consapevolmente i rischi. Non è casuale dunque che la raccolta si apra con la sezione “Nell’atto di partire” il cui tema centrale è proprio quello del viaggio, dall’atto che dà inizio al movimento fino all’idea vera e propria del transito: un viaggio moderno che si sviluppa inizialmente attraverso la velocità del treno, la cui peculiarità è quella di percorrere costantemente un tragitto già segnato, preordinato perché l’approccio razionale al quotidiano è quello che costantemente sceglie la via più sicura (All’imprevisto che è legato al moto,/la ragione ha imposto antidoto/di linee rette: orari, termini, binari./Contro i rischi dell’ignoto, p.13). Eppure il viaggio in treno, pur accompagnato da binari, è un cammino non semplice, mai scontato e soggetto a successi precari e a improvvisi deragliamenti. Ed è anche un confronto serrato fra desiderio di sicurezza (Ma poi, alla fine, mi rimetto in moto/nonostante ogni volta sia tentato/dalla voglia che mi prende di restare/nelle zone più vicine e risapute/in vista e nel contatto del mio noto, p.16) e consapevolezza dell’inevitabile scontro con l’ignoto (È il movimento a darci in dote la speranza/mettendo in relazione noi stessi con le cose/e fa presenti a un tratto le ignote e le distanti,/rendendo le vicine subito vacanti, p.14) nell’oscillazione costante fra certezze e dubbi, fughe e ritorni, realtà presente e memoria. La posta in gioco è qualcosa come la conoscenza ovverosia lo strumento che ci permette di smarcarci dalla prigionia della società contemporanea, dall'assuefazione alla mediocrità che omologa e ci priva inesorabilmente della nostre identità (Li trovi qui tutti accasciati/in sala d’aspetto o sopra le panchine/dentro e fuori la stazione/quelli che hanno già mollato/con gli ormeggi ogni decisione:/gli scoraggiati, i vinti, i rassegnati..., p.34). E la conoscenza implica sempre per il soggetto il raggiungimento della consapevolezza a tutto tondo di sé (intellettuale ma anche fisica, corporea) e un’inevitabile e conseguente apertura al concetto di alterità. Il percorso prosegue, quindi, ininterrotto nella seconda sezione “Morale della favola” ma qui assume un aspetto nuovo, divenendo vita vissuta e sfociando nell’autobiografico, con particolare riferimento all’esperienza di vita genitoriale e al rapporto padre-figlia che scandaglia una parte delicata della vita familiare (Come eroe, lo sai mi sono/defilato: non ho la faccia/per sostenere il ruolo, timido e/impacciato, incerto d’ogni verità, p.59 e Meglio incitarti, allora, nell’impresa/anche se ci sbatti contro di continuo/e, a rompersi, è la tua di testa/nel bel mezzo della corsa e della festa, p.61). Nella terza sezione “La notte bianca”, vi è l’ineludibile passaggio all’interiorizzazione del viaggio che sembra quasi sospendersi e concedersi una pausa di riflessione e di rielaborazione, alla ricerca del punto di contatto fra il microcosmo personale e una dimensione più universale, ponendosi vis à vis con il mistero intricato e profondo dell’esistenza. Così leggiamo Ha la natura umana una tendenza:/l’irresistibile bisogno di levarsi/puntando in alto e distaccandosi/dal suolo per riprendere possesso/di qualcosa che le sia stato tolto (p.82) e anche Nati dal corpo di natura,/distaccati e alzati in volo,/ma ricaduti in ansia e per paura (p.87) e infine L’infinito esplodere continuo/l’espansione e il giro palpitante, (p.92). É il momento in cui il movimento che percorre il libro vira con decisione nella sua sezione centrale, quella che dà il titolo all’intera raccolta “Le cose del mondo” dove l’esplorazione della realtà diventa principalmente minuzioso esame della materia e degli oggetti, capaci di opporre una resistenza maggiore all’erosione del tempo e di sopravvivere all’individuo (Le persone muoiono e restano le cose/solide e impassibili nelle loro pose, p.105). Muta dunque l’approccio conoscitivo che diviene più diretto e più fisico, percorrendo la strada dell’esperienza sensoriale dove il soggetto senziente tenta di ripopolare il vuoto ricostruendo una realtà apparentemente più oggettiva attraverso la razionalizzazione delle impressioni sensoriali (vista e tatto in particolar modo) pur riconoscendo come elevato il rischio di fallire il suo obbiettivo. L’intento di razionalizzazione e di catalogazione è evidente nella disposizione degli oggetti nominati secondo l’ordine alfabetico (la poesia Anello, p.110, la poesia Armadio, p.111, la poesia Astuccio, p.112 e così via fino alla poesia Vocabolario, p.136). E analogo atteggiamento emerge nella successiva sezione “Atlante anatomico” dove, seguendo il medesimo criterio ordinatore, si ripercorre la conformazione anatomica del corpo umano attraverso le sue parti (la poesia Ascelle, p.142, la poesia Bocca p.143, la poesia Capelli, p.144). Anche qui, come avveniva per la precedente sequenza dedicata agli oggetti, emerge uno dei tratti cari alla poetica di Ruffilli, quello dell’inversamente proporzionale dove la frazione ci parla dell’intero, dove la “piccolezza” richiama la “grandezza”, dove la finitudine rivela l’infinito.

La ragione del resto procede con metodo: distingue e riduce in categorie, concettualizza e nomina.

E proprio al linguaggio, alla parola è dedicata l’ultima parte Lingua di fuoco che si apre in esergo con la massima che recita L’universo, a diversi gradi di verbalizzazione, è costruzione simbolica del nome.

La conoscenza, alla fine, è un atto rivoluzionario che porta al potenziamento del senso critico e alla formazione di una nuova coscienza - individuale e collettiva- più consapevole di quello che rappresenta e di ciò che le accade intorno. Il viaggio di cui si parla, dunque, è esperienza interiorizzata che tuttavia non esaurisce se stessa in un mero atto contemplativo o autocelebrativo. Al contrario è uno sporcarsi le mani, è la faticosa discesa di un corpo (anatomicamente ben individuato, con i suoi molti limiti e le sue risorse) nella ruvidezza e nella spigolosità dell'esperienza di vita, dei rapporti interpersonali, dei sentimenti e degli oggetti, interrogati affinché possano tradire -attraverso un gioco di corrispondenze- il segreto di cui sono depositari.

Il libro è dunque la testimonianza concreta di questo percorso in cui la parola, dispiegata nella particolare musicalità del verso, si propone come strumento privilegiato di ricerca del senso delle cose. Perché se è vero che attraverso la parola il soggetto razionale nomina, individua e rappresenta, è altrettanto vero che la parola poetica, più irrazionalmente, è evocativa e, con la sua peculiare sonorità e i suoi continui richiami al sostrato dell'invisibile e dell'ineffabile, ha la capacità di vibrare sulla medesima frequenza delle particelle di cui è composta la materia.


ALESSIO VAILATI




Dalla sezione Nell’atto di partire


È proprio andando che si capisce

qual è il rovesciamento di ogni prospettiva.

Perché, restando fermi, sfuggiva in pieno

che è una questione del tutto relativa.

Avanti e indietro… qui e là… più o meno,

ma sui riferimenti sempre circostanti.

È il movimento a darci in dote la speranza

mettendo in relazione noi stessi con le cose

e fa presenti a un tratto le ignote e le distanti,

rendendo le vicine subito vacanti.



Dalla sezione La notte bianca


Natura umana


Ha la natura umana una tendenza:

l’irresistibile bisogno di levarsi

puntando in alto e distaccandosi

dal suolo per riprendere possesso

di qualcosa che le sia stato tolto,

magari come ipotesi di un suo diritto

colto in potenza, o che si aspetti

di averlo quasi promessa o come…

parte nobile della sua essenza stessa.






Dalla sezione Le cose del mondo



Letto


Porto sicuro e perno del giorno

che svolta rapace, rotte le sponde

nel tuffo, nel pozzo, in mezzo alle onde,

nel fondo che abbaglia intanto che smorza,

che giace e che vola arreso e ribelle,

disceso e salito all’evento, alle stelle.

Col peso smarrito che calca e che salta,

si piega e ribalta a bordo concluso,

condotto di sotto, di sopra recluso.

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